La cosiddetta autonomia differenziata minaccia di dissolvere l'unità nazionale e potrebbe innescare una crisi di proporzioni balcaniche? Secondo me sì. E no, non è una “boutade delle sinistre” (che tra l'altro accarezzarono un progetto di riforma consimile), come opinano i giapponesi della giungla del centrodestra, poiché il teatrino bipolarista per me rimane una sgradevole perdita di tempo. Che il rischio di uno scenario iugoslavo sia inesistente lo può credere solo uno come Dario Fabbri, non una persona in buonafede e con la testa sulle spalle. Sappiamo benissimo che l'Italia è un Paese segnato da molteplici crepe, la più appariscente e annosa delle quali separa produttivamente e culturalmente il nord dal centro-sud, dilaniato da campanilismi atavici, scombussolato da odi e rancori vecchi (eventi accaduti ottanta anni fa inducono la gente a scannarsi ancora, per adesso solo verbalmente) e nuovi. Ammettiamolo, poche cose uniscono gli italiani, e non tutte sono pregnanti. Se a questo aggiungiamo il fardello del debito pubblico e la strisciante sostituzione etnica, il quadro non potrebbe essere più fosco.