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Le malattie europee decimarono i nativi americani, i polinesiani e gli aborigeni australiani.
Pare che ebbero un impatto un po' meno drammatico nella parte meridionale del continente africano (dove probabilmente una qualche circolazione di queste malattie era assicurata dalle rotte dell'Oceano Indiano; non a caso i Khoisan della Namibia -sulla costa atlantica- non furono altrettanto fortunati).

Perché non accadde il contrario? Perché le malattie americane non decimarono gli europei?
Alcune malattie rallentarono la colonizzazione e "difesero" alcune aree dagli invasori (basti pensare alla malaria o alle varie malattie emorragiche veicolate dai pipistrelli in Africa Centrale).
La sifilide è altro caso emblematico.
La malattia è stata a lungo attribuita al Nuovo Mondo (spagnoli e francesi si sono palleggiati il primato di averla introdotta in Europa), poi attribuita al Nord Europa, successivamente riattribuita alle Americhe (gli scavi archeologici sembrano confermare l'opinione originaria). Il paradosso vuole che oggi la malattia scomparsa in America e Europa, sopravviva in Africa e nel subcontinente indiano.
La sifilide fu una piaga nel Vecchio Mondo fino a pochi decenni fa, gli effetti sul cervello erano visibili sul lungo periodo (se non erro, O. Sacks ne parla), ma non uccise il 90% della popolazione europea, perché?

Ci possono essere varie cause, credo sia difficile trovarne una conclusiva o più convincente.
Come primo approccio, la varietà genetica e demografica. Il blocco euroasiatico, ancor di più includendo anche l'Africa, poteva contare su un maggior numero di abitanti in termini assoluti, alcuni in aree ad alta mescolanza (Mediterraneo, Indocina), altri isolati (Africa del Sud, Tibet).
Al contrario, le popolazioni native americane avevano tutte una comune discendenza asiatica, questo ne riduceva adattabilità e varietà.
Inoltre, gli scambi continui avevano favorito una sorta di "selezione" (non prendetela alla lettera) delle popolazioni euroasiatiche. I Mongoli, i Crociati, le vie della seta, delle spezie, dell'ambra e dell'avorio avevano portato germi in ogni dove, scatenando, lungo i secoli, epidemie apocalittiche, ma i cui superstiti erano spesso i più resistenti.
Inoltre, furono molti di più gli europei a sbarcare in America che non il contrario. Certo, alcuni tornarono indietro (come dimostra la storia della sifilide), ma -dopo aver contratto una misteriosa malattia in Amazzonia- è più probabile morire velocemente, che fare ritorno in madrepatria.
In America, arrivarono pochi decenni dopo gli europei, anche gli africani, con malattie delle loro regioni, raddoppiando l'invasione epidemiologica (esempio: per la febbre gialla si è a lungo discussa un'origine caraibica o africana).

Il dato forse è la varietà di animali domestici presenti in Eurasia.
I virus saltano tra specie, accade da sempre, la vita a stretto contatto animali-uomini favorisce il passaggio. In Europa vi erano molti animali domestici, questo favorì la diffusione e quindi la selezione dei più resistenti (al contagio e alla malattia). Tuttavia, recenti studi che mettono a confronto odierne popolazioni africane di raccoglitori-cacciatori e agricoltori-allevatori, danno un esito opposto a questa tesi.

Dunque, è probabile che gli europei avessero un migliore sistema immunitario, più "allenato" e una maggiore varietà genetica.
Il meccanismo, per quanto banale, ha da sempre giocato un ruolo nell'evoluzione umana: i Sapiens usciti dall'Africa per ultimi, trovarono conveniente (si intende non razionalmente, ma neanche per amore) accoppiarsi con i Neanderthal in Europa e i Denisova in Asia, perché da questi (già presenti nei rispettivi contesti da tempo) ereditarono una maggiore resistenza ai patogeni locali.
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