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L'empatia come base per la costruzione della società (o almeno una delle basi).
Il bambino nasce già predisposto (qualcuno in termini ben poco romantici direbbe "programmato") per l'Altro, per essere accudito, curato e per introiettare quel modello nella formazione della proprio individualità. Evolutivamente abbiamo guadagnato tanto: un cervello grande, vascolarizzato, con una architettura neurale fitta (non che l'intelligenza o la coscienza fossero i fini dell'evoluzione, ma sono stati un vantaggio rispetto ai nostri competitori ambientali), il camminare eretti, il pensiero astratto, le convenzioni sociali, il pollice opponibile e l'uso di utensili; per altro spostare sempre più indietro questi vantaggi spiegherebbe anche come mai questi siano diventati caratteristica fissa della nostra specie.
Provate a immaginare un nostro piccolo parente nella savana che deve scappare da un leone, ciondolando su un bidepismo ancora incerto, con braccia sproporzionate, un cervello ingombrante e fragile che può giocare qualche brutto scherzo di ansia... Senza utensili, senza strategie sociali e capacità immaginative siamo in balia di forze più grandi. Per decenni i paleoantropologi si sono interrogati sul perché l'evoluzione (che non ha un fine e in cui non vince il migliore, ma sopravvive il più adatto) avesse preso una via così peculiare.
Oggi forse proprio studi come quello su Homo Naledi (di cui ho parlato ieri) rispondono in parte alla domanda: i mutamenti che ci hanno reso specie dominante erano forse già attivi centinaia di migliaia di anni or sono (fuoco, vita comunitaria coordinata, utensili) e questo spiegherebbe perché specie come Homo Habilis, Naledi o Floresiensis (il mio preferito, sia perché è un mistero evolutivo, sia perché col suo piccolo cervello e le sue gambe più simile a un'austrolopitecina che a un homo, maneggiava utensili, controllava il fuoco e presumibilmente visse sull'Isola di Flores tra i 190.000 e i 12.000 anni fa - Una specie umana alta un metro, sfiorò cronologicamente la civiltà natufiana! Personalmente lo trovo emozionante e commovente) abbiano potuto proliferare (e lasciare eredi) piuttosto che scomparire nei meandri del tempo.
La vita di questi nostri parenti ci è misteriosa, sappiamo che vivevano in gruppo, che avevano una dieta molto variegata (probabilmente favorita dagli utensili e dal fuoco), che forse questo fu alla base della nostra mobilità (invadere tutti i continenti con un rapidità enorme - i reperti sulla discesa dei primi uomini nel continente americano sono impressionanti per la velocità).
I nostri antenati mangiavano letteralmente tutto: carcasse, insetti, piante, funghi, pesce, col tempo impararono ad allevare e coltivare, in alcuni casi svilupparono strategie di caccia di gruppo per catturare animali di grandi dimensioni (anche se il peso della caccia grossa è minore di quello che gli attribuivano in passato, condizionati dall'aver scavato solo in alcune aree del mondo). Il fuoco ridusse i tempi di masticazione e rafforzò la tendenza ad avere una dentatura ridotta a vantaggio del cervello.
Il cervello grande (e che continua a crescere per tutta la lunga infanzia/adolescenza) un enorme svantaggio evolutivo, che ci lega al gruppo, ci costringe ad investire sulla prole, in progetti di coppia duraturi, siamo programmati per essere inteneriti dai cuccioli e per volerli curare, anche il sentimento del "sacro" sembra un modo per spingerci a solidarizzare con quelli che non hanno il nostro patrimonio genetico (lo abbiamo già detto, in molti esperimenti, i religiosi si oppongono alle ingiustizie più degli altri, tendono a richiamarsi a un concetto di diritto naturale-divino, che esula dalla mera obbedienza).
Tutto questo ha un impatto politico e sociale, perché noi continuiamo a raccontarci la storiella dell'uomo-lupo hobbessiano che deve competere, ma forse i nostri antenati vivevano in uno spettro di esperimenti sociali che potevano ricordare alcune esperienze collettiviste: le tribù amazzoniche -i cui capi, come ci insegna Clastres, non avevano vita facile-, gruppi di hippies anarco-comunisti, gruppi religiosi molto conformisti come gli amish, gruppi comunisti organizzati attorno a un leader carismatico.
La proprietà privata compare dal nulla, forse con l'agricoltura o forse perché qualche gruppetto sparuto pensò che fosse uno stimolo alla produzione, poi con l'agricoltura e le città prese forse il sopravvento legandosi al potere (ma questa è una tesi molto classica, affatto scontata).

In un mondo sempre più popolato, sempre più collegato e sempre più fragile (con crisi dietro ogni passaggio), vale la pena interrogarsi su chi siamo e da dove arriviamo, perché che ci piaccia o no, siamo scimmioni con un grosso cervello gelatinoso da proteggere e dei cuccioli da curare, il resto rimane esperimento comunitario e come tale può essere cambiato.
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