Si sale e ci si inoltra, quando dal confine ci si sposta nell'entroterra, in cui il freddo è secco e arriva prima, il profumo è quello autentico dell'autunno e si passano le giornate a mangiare castagne, a sonnecchiare e a ammorbidirsi intorno al fuoco, sempre acceso, scoppiettante e alto o in agguato, in apparenza sopito, nelle braci intermittenti. Il ceppo si fa testimone di un sacrificio di legna, per attizzarlo; lui si consuma piano, piano, nonno del camino.
Ci si dimentica del tempo, nell'entroterra, immersi nel letargo delle ossa, alla ricerca del calore del focolare, coperti da intrecci di lana, con coperte che hanno più della mia età.
La madre della mia amica mi parla delle castagne, pasto solido della sua infanzia, della sapienza di sua madre, che ne sapeva la vita: come idratarle, come seccarle, insaporirle col latte, come impararle senza aver mai aperto un libro. Anche quelle stanno sul fuoco, ne sono forgiate.
Il focolare è un punto fermo attorno a cui ruotano le vite, è testimone di racconti di un tempo che fu e si fa simbolo di un'eternità che si rinnova nel suo manifestarsi. Ogni anno, ai primi freddi, riappare e sembra nuovo, ma la memoria che riaffiora e si tramanda ne conosce le ataviche origini. È simbolo della tradizione, che si ritira nelle braci grigio-fuoco quando le mani degli uomini non sanno più procurarsi la legna per alimentarla, ma attende chi, scorgendo il baluginare del suo cuore ardente, entra nel bosco per cogliere i rami.
Riunisce le famiglie, attrae l'occhio dei bambini, coloro a cui verrà passata la fiaccola. È monito per uomini e donne, la voce del padre che si fa eco e fonte di eterni valori, il ventre della madre benedetto da Vesta.
Un tempo, il fuoco era posto al centro della dimora e tutti vi si riunivano intorno, simbolo di vita primigenia, di originaria creazione. Il fuoco sta al centro e partecipa della realtà circolare del Macrocosmo, ponendosi come riverbero di un nucleo divino che genera le anime. La sua combustione è richiamo di quell'amore che si espande e si riversa sulla materia di cui siamo formati.
Osservo il fuoco e dimentico lo scorrere del tempo, l'esistenza si dilata e il ritmo è quello della stagione. C'è spazio per la contemplazione, quella del fuoco, presso cui dimoro.
Ci si dimentica del tempo, nell'entroterra, immersi nel letargo delle ossa, alla ricerca del calore del focolare, coperti da intrecci di lana, con coperte che hanno più della mia età.
La madre della mia amica mi parla delle castagne, pasto solido della sua infanzia, della sapienza di sua madre, che ne sapeva la vita: come idratarle, come seccarle, insaporirle col latte, come impararle senza aver mai aperto un libro. Anche quelle stanno sul fuoco, ne sono forgiate.
Il focolare è un punto fermo attorno a cui ruotano le vite, è testimone di racconti di un tempo che fu e si fa simbolo di un'eternità che si rinnova nel suo manifestarsi. Ogni anno, ai primi freddi, riappare e sembra nuovo, ma la memoria che riaffiora e si tramanda ne conosce le ataviche origini. È simbolo della tradizione, che si ritira nelle braci grigio-fuoco quando le mani degli uomini non sanno più procurarsi la legna per alimentarla, ma attende chi, scorgendo il baluginare del suo cuore ardente, entra nel bosco per cogliere i rami.
Riunisce le famiglie, attrae l'occhio dei bambini, coloro a cui verrà passata la fiaccola. È monito per uomini e donne, la voce del padre che si fa eco e fonte di eterni valori, il ventre della madre benedetto da Vesta.
Un tempo, il fuoco era posto al centro della dimora e tutti vi si riunivano intorno, simbolo di vita primigenia, di originaria creazione. Il fuoco sta al centro e partecipa della realtà circolare del Macrocosmo, ponendosi come riverbero di un nucleo divino che genera le anime. La sua combustione è richiamo di quell'amore che si espande e si riversa sulla materia di cui siamo formati.
Osservo il fuoco e dimentico lo scorrere del tempo, l'esistenza si dilata e il ritmo è quello della stagione. C'è spazio per la contemplazione, quella del fuoco, presso cui dimoro.