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Accadeva centosessantuno anni fa.

22 gennaio 1863. In Polonia, Lituania e Bielorussia scoppia la Rivolta di gennaio, animata da un movimento nazionale che mira a sottrarsi al giogo russo e a ricostituire la Confederazione polacco-lituana. Rispetto alla situazione del 1831, i polacchi disponevano non di un esercito regolare bensì di bande di guerriglieri. L'insurrezione venne soffocata solo nel maggio 1864. Gran Bretagna, Francia e Austria tentarono di soccorrere la causa polacca con interventi diplomatici che non sortirono alcun effetto. I dignitari Nikolaj Miljutin, Samarin e Cerkasskij furono inviati in Polonia per studiarvi le condizioni di vita e proporre adeguate misure. Delle loro raccomandazioni, tuttavia, furono accolte solo quelle relative all'emancipazione dei servi della gleba. I contadini polacchi ottennero una sistemazione più favorevole di quella toccata ai loro omologhi russi, mentre condizioni assai peggiori furono riservate ai proprietari terrieri (imposta fondiaria del 10%) e agli ecclesiastici polacchi (confisca dei beni e, a partire dal 1875, conversione forzosa degli uniati). Si intensificarono la centralizzazione, il controllo poliziesco e la russificazione, arrivando a vietare l'uso della lingua polacca e rendendo obbligatorio lo studio del russo.



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Accadeva centodiciannove anni fa.

Il 22 gennaio 1905 è passato alla storia con il nome di “domenica di sangue”. Quel giorno, nell'allora capitale San Pietroburgo, la polizia aprì il fuoco contro una folla di lavoratori guidati dal sacerdote Georgij Gapon, uccidendo 130 persone e ferendone parecchie centinaia. Ironia della sorte volle che l'organizzazione di Gapon fosse in sostanza parte integrante di un piano del funzionario di polizia Sergej Zubatov di infiltrarsi nel movimento sindacale; e, sempre per ironia della sorte, i lavoratori stavano convergendo sul palazzo d'Inverno, all'oscuro del fatto che Nicola II non vi si trovasse, per implorare aiuto. Il massacro sollevò una grande indignazione e diede nuovo slancio al movimento rivoluzionario. Inoltre comportò una grave rottura tra lo zar e la classe lavoratrice. Cedendo a crescenti pressioni di ambienti liberali, Nicola II ai primi di marzo dichiarò la sua intenzione di convocare un'assemblea consultiva, proclamò inutilmente la tolleranza religiosa e abrogò certe disposizioni di legge contro le minoranze etniche. A complicare le cose in primavere ci pensarono le disfatte di Mukden e Tsushima, e la perdita quasi totale della flotta nella guerra in corso contro l'Impero Giapponese. Contemporaneamente, nella sola Pietroburgo, entrarono in sciopero quasi un milione di lavoratori, la maggior parte dei quali chiedeva maggiori salari e soprattutto un trattamento meno rude. Nelle campagne, benché i socialisti-rivoluzionari incontrassero ancora notevoli difficoltà organizzative, si ebbero per la prima volta tumulti anche tra le masse rurali, sufficienti a provocare una massiccia repressione militare. Nelle regioni abitate da non russi esplosero disordini pilotati da nazionalisti etnici o socialisti, anche se non mancò il sostegno passivo dei ceti medi liberali. Le confische di terreni da parte dei contadini e gli attacchi alle dimore dei nobili raggiunsero il picco durante l’estate 1905 in Bielorussia, Ucraina, Polonia, province baltiche. Nelle province caucasiche, come la Georgia, intere zone erano fuori controllo, e accanto ai contadini in rivolta comparvero briganti, mentre gli scontri tra armeni e azeri causarono migliaia di vittime. Nel Baltico l’antagonismo etnico tra i proprietari terrieri tedeschi e i contadini lettoni ed estoni innescò violenze particolarmente efferate. A Odessa vi l’ammutinamento dei marinai della corazzata Potëmkin, poi immortalato nell’omonimo film sovietico di Ejzenštejn. Questo e altri ammutinamenti tra le forze armate proseguirono anche nel 1906, tenendo in scacco il governo. Ad agosto Nicola II, sotto pressione da parte del governo e dell’imperatrice vedova, pubblicò un Manifesto sulle migliorie dell’ordinamento statale in cui concedeva un parlamento rappresentativo con poteri molto limitati. Ma la mossa non sortì alcun effetto, e in autunno le proteste ripartirono. In assenza di altre organizzazioni, gli operai di San Pietroburgo iniziarono a formare dei sovet (consigli), prima a livello di fabbrica e poi a livello municipale. In un primo momento i socialdemocratici nutrirono dubbi circa i consigli operai, mentre i menscevichi di Trockij ne compresero immediatamente il potenziale rivoluzionario. Il movimento rivoluzionario culminò in un gigantesco sciopero generale che durò dal 20 al 30 ottobre, che assunse chiari contorni antizaristi con la richiesta di instaurare una repubblica democratica, e che è stato descritto come il maggiore, il meglio realizzato e il più decisivo sciopero della storia. Nicola II si decise a capitolare, e il 30 ottobre, su consiglio di Sergej Witte, promulgò il manifesto di ottobre, sintetico documento che faceva dell'impero dei Romanov una monarchia costituzionale con un parlamento rappresentativo, denominato prima Duma di stato. Esso ebbe anche l'effetto di frammentare l'opposizione. Liberali e moderati di ogni tendenza, benché delusi, accettarono le concessioni dall'alto; al contrario, i radicali e i socialdemocratici le ritennero inadeguate. A metà dicembre il governo trasse in arresto i membri del soviet di Pietroburgo, il cui appello sovversivo trovò eco solo a Mosca, dove l'insurrezione infuriò nei distretti industriali e fu repressa con forza. Il 1905 si concluse con sanguinosi combattimenti; ma l'empito rivoluzionario si era ormai si era esaurito. La popolazione era estenuata e bramava la pace e l'ordine, e Vitte aveva rafforzato la presa del governo ottenendo un grosso prestito dalla Francia. La destra estrema formata da esponenti del ceto medio e dei contadini benestanti, riunita in squadracce note con il nome di černosotency «centurie nere», fortemente antisemiti e ostili agli intellettuali e alle minoranze etniche, si unì alla reazione causando pogrom e ulteriore caos. Il «Manifesto di ottobre» cambiò la politica russa, forse molto più di quanto Nicola II avesse previsto. Witte tornò primo ministro; i gruppi liberali e conservatori cominciarono a formare partiti e organi di stampa, mentre alcuni soggetti rivoluzionari abbandonarono, almeno parzialmente, la clandestinità. Witte e gli altri ministri si impegnarono a elaborare una Costituzione accettabile, annunciata il 27 aprile 1906, giorno inaugurale della nuova Duma di Stato, chiamata a proporre le leggi che, se approvate dal Consiglio di Stato, erano sottoposte allo zar per la sua approvazione, senza la quale non avevano alcuna validità. Il Consiglio di Stato si trasformò pertanto in una sorta di Camera alta, con membri pescati dallo zar tra gli alti dignitari dello stato, ai quali si aggiungevano rappresentanti della nobiltà, del mondo degli affari e delle università. Il potere dell'imperatore restava di fatto predominante, poiché la Legge fondamentale gli riservava ogni iniziativa di politica estera, la facoltà di entrare in guerra o concludere la pace, il comando supremo dell’esercito. Si trattava di una Costituzione fortemente conservatrice, ma non tanto per l’Europa del 1906. La concentrazione del potere militare e degli affari esteri nelle mani del sovrano era una caratteristica della Costituzione tedesca e di quella austriaca, e anche in Svezia i ministri erano responsabili dinanzi al re e non al parlamento. Ciò che rendeva peculiare il sistema russo erano da un lato l’impossibilità per il gabinetto dei ministri di emergere come una forza unita e indipendente dalle personalità, e dall’altro il farraginoso sistema elettorale della Duma. I deputati infatti non erano semplicemente eletti dai vari governatorati o da elettori bensì da un complesso di distretti regionali che esprimevano un voto indiretto attraverso il sistema curiale. Per ogni gruppo sociale (contadini, cittadini, lavoratori e nobili) esisteva infatti una curia. Nicola II era ancora convinto che a opporsi all’autocrazia fossero unicamente le classi medio-alte ma che le masse rurali fossero dalla sua parte. Il governo si ritrovò così con una Duma con cui sarebbe stato impossibile lavorare. I liberali, rappresentati dai cosiddetti Cadetti, così chiamati dalle prime due lettere (KD) del Partito costituzional-democratico, erano risultati il maggiore partito rappresentato alla Duma, mentre i contadini costituivano il gruppo più numeroso. Per i Cadetti, le concessioni fatte dal governo al costituzionalismo erano insufficienti, mentre i deputati contadini votarono qualsiasi provvedimento che concedesse loro dei terreni. Molti di loro esprimevano realmente la propria fedeltà allo zar, ma volevano anche la ciccia, la terra. Lo zar sciolse la prima Duma di stato nel mese di luglio, nella speranza che nuove elezioni avrebbero avuto un esito migliore. Witte si dimise lasciando il proprio incarico a Pëtr Stolypin, un ex governatore famoso per il pugno di ferro ma con un piglio riformatore. Il primo segnale dato da Stolypin fu la legge da lui promossa nell’autunno del 1906 che consentiva ai contadini di lasciare la comunità di villaggio e avviare proprie aziende agricole indipendenti. Stolypin finì di soffocare le sommosse, ma le elezioni per la seconda Duma di stato, non produssero i risultati sperati. Anzi, la nuova Duma risultò ancora più radicale. I deputati contadini, per esempio, erano ora organizzati nel Trudovik, il Partito del lavoro che, unitamente all'Unione contadina panrussa, richiedeva la distribuzione di tutte le terre ai contadini. Infine, il 3 giugno 1907, Stolypin sciolse anche la seconda Duma. Ma ormai l'allentamento della censura e le elezioni della Duma avevano trasferito la politica dalle aule dei tribunali e dagli uffici della burocrazia all’opinione pubblica. Intere classi sociali cominciarono a pensare in modo diverso: la nobiltà smise di flirtare con il liberalismo e tifò per l'autocrazia, nazionalismo e status quo; il ceto medio urbano e le classi lavoratrici cominciarono a partecipare attivamente alla politica; gli uomini d’affari formarono lobby; i contadini impararono a difendere i loro interessi. Idem per le varie minoranze nazionali. Per quanto grande fosse il potere ancora nelle mani dello zar e dei suoi ministri questi ultimi dovevano ora fare i conti con una situazione inedita, e pochi di loro erano preparati per affrontarla.

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