Accadeva centotré anni fa.

23 marzo 1921. Alle 22:40 una tremenda esplosione fa saltare in aria le prime file delle poltrone e la buca dell’orchestra al Teatro Diana di Milano, causando 21 morti e 80 feriti. Il pubblico in sala attendeva l’inizio del terzo atto de La Mazurka blu, la celebre operetta del compositore austriaco Franz Lehár. Il bilancio sarebbe stato ancora più grave se l'ordigno fosse deflagrato all’interno della sala. Invece era stato piazzato all’esterno, in via Paolo Mascagni. Lo testimoniarono, riporta il Corriere della Sera del 24 marzo 1921, le saracinesche dei negozi che furono «completamente strappate, contorte e accartocciate come rotoli di carta: tutte le armature di ferro divelte e lanciate lontano o nel fondo delle botteghe: cornicioni, capitelli, tratti di muro furono distrutti o abbattuti». La responsabilità fu attribuita ai gruppi anarchici milanesi e, in un secondo momento, ai fascisti (il 23 marzo cadeva il secondo anniversario della fondazione dei fasci di combattimento), che ne sfruttarono l’ondata emotiva per preparare la Marcia su Roma, il 28 ottobre 1922. Eppure l'episodio, assai cruento, rimane ingiustamente negletto, trascurato persino dalla mitologia antifascista. Neppure un’ora dopo l'esplosione, quando è ancora incerta la matrice dell’attentato, le squadracce si dirigono verso la sede dell’«Umanità Nova», il giornale degli anarchici, e la devastano in segno di rappresaglia. Ma la pista anarchica viene subito cavalcata anche dai principali mezzi di comunicazione che parlano di «orrenda strage anarchica» e di «attività anarchica che è diventata sempre più intensa». Sempre un’ora dopo la strage, un’altra esplosione prese di mira la centrale elettrica. Sul posto venne arrestato Amleto Astolfi, un meccanico diciottenne di simpatie anarchiche. Proprio mentre al Diana cominciavano ad affluire i primi soccorsi, in un altro quartiere meneghino i carabinieri fermarono una carrozza che, secondo la velina delle forze dell'ordine, procedeva di corsa verso la sede del giornale socialista “Avanti!”.
A bordo viaggiavano tre anarchici: Antonio Pietropaolo, Primo Parrini e Mario Orazio Perelli.
Addosso avevano tre bombe. Il Paese, dilaniato dagli opposti estremismi, usciva dal cosiddetto «biennio rosso» del 1919-20: le fabbriche del Settentrione, le quali faticavano a riconvertirsi, erano state occupate da oltre mezzo milione di operai. Errico Malatesta, l'agitatore dalle frequentazioni stravaganti (una su tutti l'ultima regina di Napoli Maria Sofia di Borbone), abituato a fare la spola tra Londra e Parigi, il «Lenin d’Italia» che aveva guidato la cosiddetta «settimana rossa» del giugno 1914 che paralizzò l'Italia. Con tempismo perfetto, il guru dell'anarchismo italiano era rientrato da Londra (refugium peccatorum per terroristi e sediziosi d'ogni risma) nel 1919, e per quasi due anni, del tutto indisturbato, aveva incendiato l’Italia con i suoi comizi e i suoi inviti alla rivolta. Venne arrestato solo alla vigilia della strage, insieme ad altri suoi compagni, senza che vi fossero accuse precise nei suoi confronti. La Guardia regia non ebbe dubbi sui colpevoli: sono certamente i seguaci del Malatesta.

E infatti le prime indagini portano all’arresto di diversi anarchici che, pochi giorni prima della bomba al Diana, avevano organizzato manifestazioni a sostegno del leader incarcerato. Tra loro, anche un gruppetto di elementi ambigui, confidenti della polizia e personaggi collegati ad ambienti militari dell’estrema destra, i quali solo in seguito risulteranno essere gli esecutori materiali della strage.

Ma chi furono i mandanti? I morti e i feriti del Teatro Diana giungono al culmine di una parossistica campagna contro il «pericolo rosso»: due mesi prima, a Livorno, era nato il Partito comunista d’Italia. L’abile propagandista Mussolini stabilì un rapporto diretto tra anarchici stragisti e comunisti rivoluzionari. «La strage del Diana era nei piani di Mosca?», si chiede dalle colonne de “Il Popolo d’Italia”. E aggiunge: «Nel dare notizia del nefasto attentato di Milano, i giornali berlinesi lo mettono in connessione con gli atti terroristici avvenuti in questi ultimi giorni un po’ dappertutto, e pensano che con ogni probabilità i delinquenti che gettarono la bomba nel teatro milanese hanno agito in obbedienza a un ordine ricevuto da Mosca o da persone che con Mosca si mantengono in stretta relazione». Curiosamente, la Corte di Assise di Milano, ai primi del Novecento, era sita proprio in piazza Fontana. Lo stesso luogo dove il 12 dicembre 1969 una strage, dapprima attribuita agli anarchici e poi risultata di matrice “neofascista”, avrebbe cambiato il corso della storia italiana. Tornando a noi, perché l'ordigno venne collocato proprio in via Mascagni? Se era il Diana che si voleva colpire, qualsiasi terrorista avrebbe potuto con facilità acquistare un biglietto per lo spettacolo, portare la bomba all’interno e provocare molti più morti, magari tra i palchi della borghesia cittadina e non tra gli orchestrali del teatro che di certo non nuotavano nell'oro.
Gli anarchici sapevano che in quella strada, ai piani superiori dell’Hotel Diana, accanto all’omonimo teatro, c’era l’abitazione del questore Giovanni Gasti, loro nemico giurato. Il questore però abitava in tutt’altra zona. Una soffiata priva di fondamento diede origine della strage, insomma.
Autrice della soffiata fu Elena Melli, operaia presso l'Ansaldo e anarchica sfegatata, la quale non venne mai fermata né interrogata (perché?), malgrado gli inquirenti continuassero a perseguire soggetti sospetti poi risultati estranei ai fatti. Chi e perché aveva fatto filtrare una notizia sbagliata? I fascisti? Ma la violenza squadrista e politica in generale, per quanto deprecabile, si riversava contro uomini e organizzazioni dei partiti avversari, non colpiva nel mucchio. Il governo?
La matrice della strage effettivamente è riconducibile al “terrorismo di Stato”, calato dall'alto, la classica strage indiscriminata con tanto di depistaggi e punti oscuri. Le quinte colonne di una grande potenza straniera al di là della Manica? Malatesta, in fondo, aveva trascorso diversi anni di “esilio” a Londra. I comunisti pilotati da Mosca? Ma in che modo una strage tanto vile avrebbe potuto ringalluzzire un movimento rivoluzionario che aveva speso tutte le sue energie durante il biennio rosso? L'evento, almeno nell'immediato, non sortì le svolte autoritarie o rivoluzionarie auspicate, dato che la marcia su Roma avverrà solamente un anno e mezzo dopo; anzi, il 4 luglio del 1921, socialisti e fascisti, sollecitati dal governo Bonomi, siglarono un patto di pacificazione che rimarrà in vigore fino al 26 febbraio 1922. Il patto di pacificazione fu malvisto dai ras locali (Marsich, Grandi, Balbo, Farinacci), i quali rivendicarono la loro azione squadristica-agraria che aveva reso grande e forte il movimento, e rischiò di compromettere l'esistenza del movimento fascista. Ad oggi, i veri mandanti e veri obiettivi della strage del teatro Diana rimangono ignoti.

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