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Caligorante

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Accadeva trecentosessantaquattro anni fa. 18 novembre 1659. Viene rappresentata a Parigi Le preziose ridicole (Les Précieuses ridicules), terza commedia di Molière, la prima di successo. L'anno successivo la commedia venne stampata con una prefazione dell'autore, perplesso per i gradimenti riscossi. In un atto unico, va in scena la storia di Cathos e Magdelon (ispirati, a quanto pare, a Catherine de Rambouillet e Madeleine de Scudéry, protagoniste della cultura e della vita mondana parigina dell'epoca), rispettivamente nipote e figlia dell’anziano borghese Gorgibus. Le due, rapite dalle convenzioni sociali in voga e dall'eloquio forbito, hanno respinto la corte dei fidanzati La Grange e Du Croisy, poiché ritenuti poco galanti. Gorgibus, incarnazione della mentalità borghese ostile alle fatuità modaiole, rinfaccia alle ragazze di aver mandato all’aria una buona occasione per maritarsi, e le minaccia di farle entrare in convento. I respinti spediscono i propri valletti Mascarillo (servo di La Grange) e Jodelet (servo di Du Croisy) dalle due scemarelle. Mascarillo si presenta come marchese e uomo avvezzo al bel mondo, mentre Jodelet passa per un visconte veterano di tante battaglie. Le improbabili conversazioni sulle ultime tendenze della capitale vengono interrotte dall’arrivo di La Grange e Du Croisy che svelano l’inganno. La commedia si conclude con Gorgibus che prende a bastonate i sonatori di violino imprecando contro le follie della moda “preziosa”. Dopo anni trascorsi ad allestire spettacoli in provincia, il quarantenne Molière torna a Parigi per allestire al teatro Petit Bourbon le Preziose ridicole, preceduta dal Cinna di Corneille. Sembra che le risate e gli applausi provennero soprattutto da alcuni dei volti più significativi dei salotti buoni, che forse si saranno riconosciuti nelle maschere di questa pièce che si configura come una delle testimonianze più autentiche degli eccessi di quella mondanità parigina definita “preziosa” negli anni Cinquanta del Seicento, immediatamente riconoscibile dallo spettatore e dal lettore dell'epoca. Les Loix de la Galanterie di Sorel (1644) hanno senz’altro offerto a Molière un valido spunto per la composizione del suo primo grande successo. Molière conferma l’eccezionalità della lingua francese che, al contrario dell'italiano, subordina la scrittura all’oralità e risulta perfetta per la conversazione; una lingua in grado di esibire un proprio patrimonio lessicale avulso da latinismi e forestierismi. Termini come affaire, mine, tour saranno inseriti nei Dictionnaires di Richelet (1680) e Furetière (1690). Il testo delle Preziose ridicole, oltre a essere un laboratorio della lingua francese, incrocia ambizioni apparentemente inconciliabili: un’umanità che per scoprire il proprio lato ridicolo deve prendersi sul serio. Originally posted in:
Amo leggere (fra le altre lingue) in francese, e ultimamente mi sto immergendo proprio nel periodo in oggetto, quel "Grand Siécle" che ha segnato il trionfo del classicismo francese, ma anche della lingua nazionale, di cui sottoscrivo il tuo giudizio. Leggo la corrispondenza di Mme de Sevigné o il teatro di Racine, sino a Balzac e a Proust, quasi più per il piacere dell'uso prezioso e virtuosistico di una lingua che, più di qualunque altra, è fatta per sprigionare esprit e finesse.
 

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"I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"

Purgatorio, canto XXIV

Per me, la scrittura è questo e credo che i miei due amori, Dante e San Giovanni apostolo, la rappresentino alla perfezione.

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«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io;
e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio.»
(Rut 1:16)

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"Vedesti", disse, "quell'antica strega

che sola sovr'a noi ormai si piagne;

vedesti come l'uom da lei si slega.

Bastiti, e batti a terra le calcagne;

li occhi rivolgi al logoro che gira

lo rege etterno con le ruote magne".

Purgatorio, canto XIX, vv. 58-63

Siamo alla fine del girone degli accidiosi e Dante fa un sogno: una femmina "balba (balbuziente)", cieca, storpia a mani e piedi e dal colorito smorto. Ma l'essere umano non la vede nel suo reale aspetto, bensì attraverso il filtro del suo richiamo seduttivo. Questa femmina, infatti, è un'allegoria dell'incontinenza verso i piaceri terreni, in particolare l'avarizia, la lussuria e la gola, puniti nei gironi successivi. È quindi, questo, un sogno che anticipa quello che Dante dovrà incontrare nel suo viaggio.

Al suo risveglio, Virgilio nota che la sua mente è ancora occupata dal ricordo del sogno e lo incita a passare oltre attraverso i versi che ho scelto di riportare.

Virgilio è sbrigativo e lo esorta a non perdere tempo a rimuginare sul peccato, ma di andare avanti e guardare alle cose celesti.

Troppo spesso, di fronte alle miserie che ci abitano, ci crogioliamo nel nostro non essere degni di accostarci ai santi, troppo spesso ci giudichiamo "troppo peccatori" e questo giudizio implacabile si pone come un ostacolo al cammino verso Dio.

Ma, una volta preso atto di non essere immacolati e perfetti secondo la nostra idea di perfezione, dobbiamo avere il coraggio di presentarci a Dio così come siamo: pieni di difetti, manchevoli, fallibili.

I nostri genitori non ci amano forse nonostante i nostri errori? E come potrebbe Dio non farlo, se sinceramente ci volgiamo a Lui con tutto il carico di vergogna, ma anche di devozione, che portiamo addosso?

Ma a Lui dobbiamo guardare, non a noi stessi, perché dalle tenebre si esce grazie alla luce, e la luce che possiamo trovare in noi non è altro che luce divina.

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