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Caligorante

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Accadeva cinquantaquattro anni fa 19 novembre 1969. Pelé realizza su rigore il suo millesimo goal in carriera nella partita fra il Santos e il Vasco da Gama. Quel giorno ricorreva l'ottantesimo anniversario del Dia da Bandeira, la bandiera repubblicana del Brasile. Tutti però attendevano la rete numero mille dell'indiscusso monarca del futebol. C’erano solo undici persone al Maracanã che non avevano alcuna intenzione di far parte di quella festa: i giocatori del Vasco da Gama. I cori dei propri tifosi, che tifavano Santos nella speranza di assistere al millesimo centro di O’Rey, non erano certo incoraggianti. Giocarono duro e professionale, non allo scopo di vincere, ma solo per non far segnare il gol fatale. Il mastino preposto alla marcatura di Pelé si chiamava Renê, lo stopper del Vasco. Renê scelse l'autorete pur di negare la gioia al mitico centravanti. 1 a 0 per il Santos; ma in quella partita paradossale ad esultare furono Renê e compagni. Pelé forse cominciò a scoraggiarsi. I giocatori del Vasco continuarono a tallonarlo, anche in tre alla volta. Al 77’ riuscì a procurarsi un calcio di rigore. Il fischio dell’arbitro Manoel Amaro de Lima giunse inaspettato e ammutolì lo stadio Maracanã. Non era quello il modo in cui Pelé voleva segnare il millesimo gol, ma il senso di liberazione che ne sarebbe derivato lo allettava. Poi, ripensandoci, si accorse che il calcio di rigore era un momento perfetto per fare, solo al centro della scena, qualcosa che tutti attendevano. Il portiere del Vasco si posizionò sulla linea di porta. Pelé arretrò rapidamente e partì in una rincorsa che sembrò al rallentatore, alla Jorginho o alla Zaza, per intenderci. Ci fu come un attimo di sospensione che infuse alla scena una magia cinematografica, anticipando la sequenza della rovesciata effettuata da Pelé attore nel film Fuga per la vittoria. Il fuoriclasse mise in pratica l'espediente escogitato dal compagno di nazionale Didì, che tuttavia non l'adoperò mai: corse verso la palla, ma un attimo prima di calciare si fermò e controllò dove si stesse buttando il portiere, per calciare poi dall’altra parte. Il trucco stava nel creare una parentesi temporale, una paradinha (da parada: pausa, sosta) e all’interno di quella decidere dove tirare. Negli anni seguenti, la FIFA mise al bando la paradinha per diverso tempo. Pelé decise di usarla in occasione del rigore che avrebbe potuto portarlo al millesimo gol. Ma non fece in tempo a cambiare angolo di tiro e finì per calciare esattamente dalla stessa parte in cui si era tuffato il portiere. Il portiere del Vasco da Gama, l'argentino Edgardo Andrada, soprannominato El Gato (pare sia stato vicino agli apparati repressiva della giunta militare di Videla) toccò la sfera, che cambiò appena la sua direzione e si infilò in rete. Pelé corse dentro la porta, prese il pallone e lo baciò; poi venne portato in trionfo dai compagni. Il pubblico sugli spalti impazzì, mentre i fuochi d’artificio illuminarono la notte di Rio. Mille palloncini volarono in cielo. Su ognuno di essi c’era scritta la notizia che Pelé aveva segnato il millesimo gol. Anche gli avversari, dopo aver provato in tutti i modi a non farlo segnare, gli diedero la mano in segno di resa e rispetto. I tifosi del Vasco invasero il campo, gli strapparono la casacca del Santos, e gliene fecero indossare una della loro squadra con il numero 1.000. Non dedicò la millesima segnatura alla madre che compiva gli anni bensì «A tutti i bambini del Brasile! Dobbiamo occuparci di loro». I criancinhas cresciuti nella povertà come lui, spesso ai limiti della legalità, per usare un eufemismo. Il giorno dopo il Millesimo gol, il 20 novembre del 1969, un giornale brasiliano titolò: «Luna, già vista. Pelé, mai visto». Originally posted in:
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"I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"

Purgatorio, canto XXIV

Per me, la scrittura è questo e credo che i miei due amori, Dante e San Giovanni apostolo, la rappresentino alla perfezione.

San-Giovanni.jpg
«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io;
e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio.»
(Rut 1:16)

1795-William-Blake-Naomi-entreating-Ruth-Orpah.jpg
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"Vedesti", disse, "quell'antica strega

che sola sovr'a noi ormai si piagne;

vedesti come l'uom da lei si slega.

Bastiti, e batti a terra le calcagne;

li occhi rivolgi al logoro che gira

lo rege etterno con le ruote magne".

Purgatorio, canto XIX, vv. 58-63

Siamo alla fine del girone degli accidiosi e Dante fa un sogno: una femmina "balba (balbuziente)", cieca, storpia a mani e piedi e dal colorito smorto. Ma l'essere umano non la vede nel suo reale aspetto, bensì attraverso il filtro del suo richiamo seduttivo. Questa femmina, infatti, è un'allegoria dell'incontinenza verso i piaceri terreni, in particolare l'avarizia, la lussuria e la gola, puniti nei gironi successivi. È quindi, questo, un sogno che anticipa quello che Dante dovrà incontrare nel suo viaggio.

Al suo risveglio, Virgilio nota che la sua mente è ancora occupata dal ricordo del sogno e lo incita a passare oltre attraverso i versi che ho scelto di riportare.

Virgilio è sbrigativo e lo esorta a non perdere tempo a rimuginare sul peccato, ma di andare avanti e guardare alle cose celesti.

Troppo spesso, di fronte alle miserie che ci abitano, ci crogioliamo nel nostro non essere degni di accostarci ai santi, troppo spesso ci giudichiamo "troppo peccatori" e questo giudizio implacabile si pone come un ostacolo al cammino verso Dio.

Ma, una volta preso atto di non essere immacolati e perfetti secondo la nostra idea di perfezione, dobbiamo avere il coraggio di presentarci a Dio così come siamo: pieni di difetti, manchevoli, fallibili.

I nostri genitori non ci amano forse nonostante i nostri errori? E come potrebbe Dio non farlo, se sinceramente ci volgiamo a Lui con tutto il carico di vergogna, ma anche di devozione, che portiamo addosso?

Ma a Lui dobbiamo guardare, non a noi stessi, perché dalle tenebre si esce grazie alla luce, e la luce che possiamo trovare in noi non è altro che luce divina.

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